L’Exposure Management, o gestione delle esposizioni, rappresenta l’evoluzione naturale della gestione tradizionale delle vulnerabilità.
Non si tratta semplicemente di scoprire e correggere le falle di sicurezza, ma di comprendere in modo continuo e contestualizzato quali rischi concreti corre l’intera superficie d’attacco aziendale.
Ma per molte organizzazioni il rischio cyber rimane un’incognita difficile da valutare con criteri oggettivi. Firewall e antivirus non bastano più, le superfici d’attacco si estendono costantemente e la compliance con normative come GDPR e NIS2 diventa sempre più complessa.
Il vero problema non è soltanto la difesa tecnica, ma la mancanza di dati misurabili che consentano ai decisori di giustificare investimenti e strategie di protezione.
È su queste esigenze che si fonda HiCompliance, il servizio gestito sviluppato da HiSolution: una piattaforma che consente di quantificare in percentuale il livello di rischio cyber, monitorare vulnerabilità ed esposizioni in tempo reale e generare piani di remediation personalizzati.
L’obiettivo è offrire alle imprese una serenità digitale misurabile, trasformando la gestione della sicurezza da percezione astratta a metrica concreta.
La differenza fondamentale rispetto al vulnerability management classico sta nell’approccio: mentre il vulnerability management si concentra principalmente sulle vulnerabilità tecniche identificate attraverso scansioni periodiche, l’Exposure Management adotta una visione olistica e dinamica che considera l’intera esposizione dell’organizzazione alle minacce informatiche.
Il contesto attuale delle cyber minacce rende questa evoluzione non solo opportuna, ma necessaria. La superficie d’attacco delle aziende si è espansa in modo esponenziale negli ultimi anni: infrastrutture cloud ibride, dispositivi IoT e sistemi di produzione connessi, postazioni di lavoro da remoto, applicazioni SaaS e shadow IT hanno moltiplicato i potenziali punti di ingresso per gli attaccanti.
Secondo il rapporto Clusit 2025, la distribuzione delle tecniche di attacco nel 2024 vede al terzo posto gli incidenti di sicurezza basati su vulnerabilità, con una quota storica per il nostro Paese del 19% (in questa particolare classifica, i malware occupano il primo posto con il 38% e gli attacchi DDoS il secondo posto con il 21%).
In questo 19%, oltre il 60% delle violazioni informatiche sfrutta vulnerabilità già note ma non corrette tempestivamente. Il problema non è quindi la mancanza di informazioni sulle falle di sicurezza, ma la difficoltà nel dare priorità agli interventi e nell’avere una visione completa di cosa realmente espone l’azienda a un rischio concreto.
È proprio la mancanza di visibilità a rendere difficile la pianificazione di difese efficaci e spesso porta anche a sottostimare la reale esposizione. Molte aziende accumulano soluzioni frammentate, senza però una visione unificata.
“HiCompliance è stato progettato per colmare questo vuoto, fornendo un indice di rischio proprietario che si aggiorna nel tempo e consente di capire subito quanto l’organizzazione sia esposta – spiega Denise Amedei, Marketing Manager di HiSolution –. A differenza delle consulenze tradizionali o delle soluzioni “fai da te”, il servizio offre dati oggettivi, monitoraggio continuo e ROI misurabile, integrandosi con i sistemi già in uso senza interruzioni operative”.
Va da sé che un sistema vulnerabile ma isolato in una rete interna senza dati critici rappresenta un rischio molto diverso rispetto allo stesso sistema esposto direttamente su Internet e contenente informazioni sensibili.
Ma quali sono i pilastri su cui si fonda una corretta gestione delle esposizioni degli asset aziendali?
Il primo pilastro fondamentale è la scoperta completa e continua di tutti gli asset aziendali. Non è più sufficiente avere un inventario statico aggiornato periodicamente: serve una mappatura dinamica che tenga traccia in tempo reale di server, workstation, dispositivi mobili, container, istanze cloud, applicazioni e servizi.
La scoperta degli asset deve includere non solo l’infrastruttura IT tradizionale, ma anche i sistemi di tecnologia operativa (gli ambienti industriali e di produzione), i dispositivi IoT e soprattutto lo shadow IT, ovvero tutti quei servizi e applicazioni adottati dai dipendenti senza l’approvazione formale del reparto IT.
Il monitoraggio continuo sostituisce le scansioni periodiche: invece di fotografare lo stato della sicurezza una volta al mese o al trimestre, l’Exposure Management prevede un controllo costante che rileva immediatamente nuovi asset, modifiche di configurazione o cambiamenti nell’esposizione dei sistemi.
Questa visibilità deve estendersi anche all’esterno del perimetro aziendale tradizionale, includendo domini, sottodomini, certificati SSL, porte aperte e servizi esposti su Internet che potrebbero essere sfruttati come vettore d’attacco iniziale.
Avere visibilità completa genera inevitabilmente un grande volume di informazioni. Il secondo pilastro dell’Exposure Management consiste nel trasformare questi dati in intelligence utilizzabile per prendere decisioni concrete.
La valutazione delle vulnerabilità deve andare oltre il semplice punteggio CVSS (il sistema di scoring standard delle vulnerabilità). Questo valore, pur importante, non considera il contesto specifico dell’organizzazione. Una vulnerabilità critica su un sistema di test isolato ha un impatto ben diverso dalla stessa falla su un server web esposto pubblicamente.
La prioritizzazione efficace considera molteplici fattori:
L’integrazione con fonti di threat intelligence permette di identificare quali vulnerabilità sono nel mirino dei gruppi criminali o degli attori sponsorizzati dagli stati, consentendo di concentrare le risorse limitate sui rischi che contano davvero.
Il terzo pilastro fondamentale è la verifica dell’efficacia dei controlli di sicurezza implementati. Non basta sapere che esistono vulnerabilità o che sono stati applicati aggiornamenti: serve confermare che le difese funzionino realmente.
Le tecniche di simulazione di attacco permettono di testare continuamente la postura di sicurezza senza attendere costosi test di penetration manuali. Queste simulazioni automatizzate riproducono le tattiche degli attaccanti reali per verificare se riuscirebbero a sfruttare le esposizioni identificate.
Il red teaming automatizzato esegue catene di attacco complete, verificando non solo le singole vulnerabilità ma la possibilità di concatenarle per raggiungere obiettivi critici come server di dominio, database con dati sensibili o sistemi di controllo industriale.
Questa validazione continua genera un feedback loop prezioso: non solo identifica dove i controlli sono insufficienti, ma conferma anche quali investimenti in sicurezza stanno realmente funzionando e proteggendo l’organizzazione.
L’implementazione di un programma di gestione delle esposizioni parte necessariamente da una valutazione dello stato attuale. Prima di introdurre nuovi strumenti o processi, serve comprendere la situazione di partenza.
La mappatura degli asset critici è il primo passo concreto. Quali sono i sistemi che, se compromessi, causerebbero il maggior danno all’organizzazione? Questi potrebbero includere database con dati dei clienti, sistemi di pagamento, ambienti di produzione, applicazioni rivolte ai clienti o sistemi di controllo industriale.
L’identificazione dei gap esistenti rivela dove l’attuale approccio alla sicurezza presenta lacune. Ci sono aree dell’infrastruttura non coperte da scansioni regolari? Esistono sistemi che il team IT non conosce completamente? Quanto tempo passa mediamente tra la scoperta di una vulnerabilità critica e la sua correzione?
La definizione di metriche e indicatori di successo è cruciale per misurare i progressi nel tempo. Questi potrebbero includere:
Gli obiettivi devono essere realistici e allineati con le risorse disponibili. Un programma ambizioso ma inattuabile genererà solo frustrazione, mentre obiettivi raggiungibili costruiscono momentum e supporto organizzativo.
L’Exposure Management richiede tecnologie specifiche che vanno oltre i tradizionali scanner di vulnerabilità. Le piattaforme moderne di gestione della superficie d’attacco aggregano dati da molteplici fonti per fornire quella visibilità unificata che è alla base dell’intero approccio.
Queste piattaforme si integrano con gli strumenti esistenti nell’ecosistema di sicurezza aziendale: scanner di vulnerabilità, sistemi di gestione degli asset, piattaforme di gestione delle informazioni e degli eventi di sicurezza, strumenti di orchestrazione e automazione della risposta agli incidenti.
L’integrazione è fondamentale per evitare silos informativi. Dati sulle vulnerabilità, informazioni sugli asset, log di sicurezza e intelligence sulle minacce devono confluire in un’unica visione che permetta di correlare eventi e identificare rischi complessi.
L’automazione gioca un ruolo chiave: processi manuali ripetitivi come la raccolta dati, la correlazione delle informazioni o l’assegnazione delle priorità possono essere automatizzati, liberando il team di sicurezza per attività a maggior valore aggiunto come l’analisi strategica e la risposta agli incidenti complessi.
La scelta delle tecnologie deve considerare non solo le funzionalità, ma anche la facilità d’integrazione con l’ecosistema esistente, la scalabilità per crescere con l’organizzazione e la curva di apprendimento per il team che dovrà utilizzarle quotidianamente.
La tecnologia da sola non è sufficiente: servono processi chiari e una governance definita per trasformare i dati in azioni concrete.
I workflow di remediation devono specificare chi fa cosa e quando. Una volta identificata un’esposizione critica, chi è responsabile di verificarla? Chi deve approvarla per la correzione? Chi esegue materialmente l’intervento? Quali sono i tempi massimi previsti per ogni fase?
La definizione di SLA (Service Level Agreement, accordi sul livello di servizio) differenziati per livello di rischio garantisce che le risorse siano allocate in modo appropriato. Un’esposizione critica attivamente sfruttata richiede intervento immediato, mentre una vulnerabilità media su un sistema non critico può seguire il normale ciclo di patch mensile.
È fondamentale definire ruoli e responsabilità chiari che attraversino i confini organizzativi tradizionali. Il team di sicurezza identifica e prioritizza le esposizioni, ma la remediation spesso richiede il coinvolgimento di amministratori di sistema, sviluppatori, team DevOps o persino il business per decisioni su sistemi critici.
La governance, inoltre, deve includere anche meccanismi di escalation per le situazioni che richiedono decisioni di livello superiore, come l’accettazione consapevole di rischi che non possono essere mitigati immediatamente per vincoli di business.
Riunioni di revisione regolari con stakeholder di sicurezza, IT e business mantengono allineamento sulle priorità e permettono di adattare la strategia in base ai risultati ottenuti e ai cambiamenti nel panorama delle minacce.
L’implementazione di un programma di Exposure Management presenta insidie comuni che è meglio conoscere in anticipo.
Proprio per evitare queste insidie, HiCompliance di HiSolution propone un approccio che unisce dati oggettivi, AI e consulenza specializzata per trasformare la cybersecurity in un processo gestibile e trasparente.
Non più solo strumenti frammentati o progetti una tantum, ma un servizio continuo che accompagna l’impresa nel tempo.
In un contesto in cui la compliance normativa si intreccia con la necessità di garantire resilienza e continuità, HiCompliance offre alle aziende un punto di riferimento concreto per gestire in modo efficace il rischio cyber e consolidare la fiducia di clienti, partner e stakeholder.
Un valido supporto per l’efficace messa a terra di un programma di Exposure Management arriva da HiCompliance, la soluzione di HiSolution che si basa proprio su un insieme di moduli coordinati che uniscono assessment, monitoraggio e remediation:
Come sottoline Amedei, “Il cuore del servizio è una dashboard unificata che raccoglie tutti i dati di sicurezza (endpoint, server, dispositivi di rete, patch management, log, configurazioni critiche) e offre una fotografia costante della postura aziendale. Inoltre, l’integrazione con oltre 350 connettori XDR potenzia detection e reazione agli eventi sospetti”.
Una volta calcolato l’indicatore di rischio, HiCompliance genera un remediation plan prioritizzato, validato da un Security Manager dedicato. Il piano include:
Il percorso è modulare e progressivo: già entro 72 ore dall’attivazione l’azienda ottiene la prima fotografia del rischio, mentre la riduzione significativa dell’esposizione può essere raggiunta nei primi 90 giorni.
“Quando parliamo di sicurezza – aggiunge la Marketing Manager – spesso si pensa solo a strumenti o tecnologie. In realtà, ciò che fa la differenza è la capacità di misurare e migliorare nel tempo. Con HiCompliance abbiamo visto aziende ridurre in modo concreto il proprio rischio cyber, anche del 65% nei primi mesi, ma soprattutto acquisire consapevolezza: capire dove sono le criticità, come intervenire e come giustificare investimenti con dati oggettivi. La conformità a NIS2, GDPR o ISO27001 non diventa più un obbligo, ma il risultato naturale di un percorso di maturità digitale”.
L’evoluzione dell’Exposure Management è già in corso, con tendenze chiare che definiranno i prossimi anni.
L’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico stanno trasformando la capacità predittiva. Algoritmi avanzati possono analizzare pattern storici di attacco, comportamenti degli asset e indicatori di compromissione per prevedere quali esposizioni hanno maggiori probabilità di essere sfruttate prima ancora che esistano exploit pubblici.
Il modello CTEM (Continuous Threat Exposure Management), definito da Gartner come una delle tendenze principali in cybersecurity, formalizza l’approccio continuo e basato sulle minacce reali. Questo framework prevede cicli continui di scoperta, prioritizzazione, validazione e mobilizzazione per mantenere costantemente sotto controllo l’esposizione organizzativa.
L’integrazione con le architetture Zero Trust è un altro sviluppo significativo. Il principio “never trust, always verify” (non fidarsi mai, verificare sempre) si sposa perfettamente con l’Exposure Management: la visibilità continua permette di implementare controlli di accesso granulari basati sul rischio effettivo di ogni asset e utente, adattando dinamicamente le politiche di sicurezza.
La convergenza tra sicurezza IT e OT (Operational Technology) diventerà sempre più stretta, con piattaforme unificate che gestiscono l’esposizione sia degli ambienti informatici tradizionali sia dei sistemi di controllo industriale, spesso critici per la sicurezza fisica e la continuità operativa.
L’automazione raggiungerà livelli più sofisticati, con sistemi in grado non solo di identificare e prioritizzare esposizioni ma anche di eseguire remediation automatica per categorie di rischi ben definite, riducendo drasticamente i tempi di risposta.
Infine, l’Exposure Management diventerà sempre più un elemento centrale nella gestione del rischio aziendale complessivo, integrandosi con framework di Enterprise risk management e influenzando decisioni strategiche su investimenti tecnologici, modelli operativi e strategie di business.
Contributo redazionale realizzato in collaborazione con HiSolution.