
La delibera AGCOM che impone la verifica dell’età per l’accesso ai siti per adulti, tramite SPID o CIE, è molto più di una misura a tutela dei minori. È il perfetto caso di studio della fallacia “Tette e Gattini”: l’idea che per proteggere gli innocenti (i gattini) si debba sorvegliare e recintare l’internet libero degli adulti (le tette). Una mossa, apparentemente logica, costituisca in realtà un pericoloso precedente per la privacy, normalizzando un modello di controllo digitale che erode i nostri diritti fondamentali con la scusa del “se non hai nulla da nascondere”.
Partiamo da un fatto, anzi, da un meme: “Niente sesso, siamo AGCOM”. Dietro l’ironia, c’è una verità profonda che bolle in pentola. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha appena calato la sua scure su 48 piattaforme di contenuti per adulti, tra cui i colossi come PornHub e OnlyFans, imponendo un sistema di verifica dell’età obbligatorio a partire dal 12 novembre. La motivazione, iscritta nel cosiddetto Decreto Caivano, è nobile e inattaccabile: proteggere i minori. La soluzione tecnica, però, apre un vaso di Pandora che riguarda tutti noi, anche chi su quei siti non ci è mai andato e mai ci andrà.
Stiamo per assistere a un esperimento sociale e tecnologico in scala 1:1, le cui implicazioni vanno ben oltre la presunta salvaguardia dei più giovani.
Il Nobile Pretesto e la Meccanica del Controllo
Analizziamo la macchina che si sta mettendo in moto. Per accedere a questi contenuti, non basterà più cliccare su un pulsante “Sì, ho 18 anni”. Servirà un’autenticazione forte, basata su strumenti come SPID o Carta d’Identità Elettronica (CIE). AGCOM ci rassicura parlando di un’architettura a “doppio anonimato”: un soggetto terzo certificato verificherà la nostra età senza sapere quale sito vogliamo visitare, e il sito ci farà entrare senza conoscere la nostra identità.
Sembra un meccanismo ingegnoso, quasi chirurgico. E, da un punto di vista puramente tecnico, lo è. Si ispira a modelli già in uso in altri settori, come quello bancario. Ma, come insegna la gestione della crisi, un sistema non è definito solo dalla sua efficienza in condizioni ideali, ma dalla sua resilienza ai fallimenti e, soprattutto, dalle porte che apre.
La domanda che dobbiamo porci non è se il sistema funzioni come descritto, ma cosa significa normalizzare un sistema del genere. Stiamo accettando il principio che per accedere a contenuti legali, per quanto controversi possano essere per alcuni, sia necessario presentare un documento d’identità digitale legato allo Stato. È un passaggio logico sottile, ma devastante.
La Pericolosa Fallacia delle “Tette e dei Gattini”
Da anni, nel mio lavoro di divulgazione, uso una metafora che ho preso in prestito da un musical di Broadway, Avenue Q, che cantava una scomoda verità: “The Internet is for Porn”. Ho chiamato questo dilemma la sindrome di “Tette e Gattini”.
La narrazione che ci viene propinata è semplice e rassicurante: da un lato c’è un Internet libero e adulto, pieno di pericoli e contenuti scabrosi (le “tette”); dall’altro, un Internet sicuro, pulito e igienizzato, adatto a tutti, specialmente ai minori (i “gattini”). La conclusione logica che ci viene servita su un piatto d’argento è che, per proteggere i secondi, sia indispensabile limitare, sorvegliare e recintare il primo.
Questa, amici miei, è una scorciatoia intellettuale che porta dritta a un’erosione dei nostri diritti fondamentali. È lo stesso schema mentale che sta dietro a battaglie come quelle sul “Chat Control” europeo o contro le VPN: l’idea che, in nome di una sicurezza assoluta (e irraggiungibile), si possa sacrificare la privacy di tutti. Come scriveva il sociologo Zygmunt Bauman, la ricerca di certezza in un mondo incerto spesso ci porta a cedere libertà in cambio di una protezione che si rivela illusoria.
Questo provvedimento non fa che cementare questa fallacia. Si crea un precedente: oggi tocca ai siti per adulti. Domani, con la stessa logica, potrebbe toccare ai siti di scommesse, poi alle testate giornalistiche con contenuti violenti, poi alle piattaforme di discussione politica ritenute “estreme”. Dove si traccia la linea?
Quando lo Stato entra nella Cronologia del Browser
Il punto cruciale è smantellare una volta per tutte l’argomento più tossico e pigro del dibattito pubblico: “se non hai nulla da nascondere, non hai nulla da temere”.
La privacy non è l’occultamento della colpa. È il diritto alla curiosità. È la libertà di esplorare idee, informazioni, e sì, anche contenuti che la società può giudicare di cattivo gusto, senza che questa esplorazione venga registrata, tracciata e potenzialmente archiviata. Associare in modo indelebile la propria identità digitale (SPID/CIE) all’accesso a una categoria di contenuti crea un database potenziale di interessi e comportamenti. Anche se il “doppio anonimato” funzionasse alla perfezione, l’infrastruttura per questo tipo di controllo sarebbe ormai costruita e normalizzata.
Stiamo costruendo un Internet a due velocità: uno libero per chi sa usare strumenti di anonimizzazione, e uno “con la patente” per tutti gli altri. Non si combatte il disagio giovanile o l’accesso inappropriato ai contenuti trasformando il web in un grande gate sorvegliato. La vera protezione, quella efficace, non si costruisce con più recinti, ma con più consapevolezza, con un’educazione digitale che dia ai giovani (e ai meno giovani) gli strumenti critici per navigare la complessità del mondo, online e offline.
Questo provvedimento, nato da un’esigenza giusta, usa uno strumento sbagliato che rischia di creare un danno collaterale enorme al nostro concetto di libertà digitale. Vigiliamo, perché la strada per un inferno di controllo è spesso lastricata di buone intenzioni per proteggere i gattini.
Estote Parati.