Guerre di Rete - una newsletter di notizie cyber
di Carola Frediani
N. 213 - 13 ottobre 2025
Cosa è e come funziona la newsletter Guerre di Rete
Specie per i nuovi, ricordo che questa newsletter (che oggi conta 15mila iscritti - ma molti più lettori, essendo pubblicata anche online) è gratuita e del tutto indipendente, non ha mai accettato sponsor o pubblicità, e viene fatta nel mio tempo libero. Se vi piace potete contribuire inoltrandola a possibili interessati, o promuovendola sui social.
Il progetto editoriale Guerre di Rete
In più, il progetto si è ingrandito con un sito indipendente e noprofit di informazione cyber, GuerrediRete.it. Qui spieghiamo il progetto. Qui l’editoriale di lancio del sito.
Qui una lista con link dei nostri progetti per avere un colpo d’occhio di quello che facciamo.
In questo numero:
Continua il nostro crowdfunding
Guerre dei chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa e gli altri
L’Europa, ecco la sua strategia e gli investimenti in AI
Ma la bolla dell’AI sta forse per scoppiare? Il nostro approfondimento
Operazioni di influenza in Iran
Spyware all’italiana, nuove puntate
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Qualche settimana fa abbiamo lanciato il nostro terzo crowdfunding, la raccolta fondi, per Guerre di Rete, per la newsletter che state leggendo, per il sito Guerredirete.it e per il progetto editoriale più ampio, che include anche la produzione di ebook, le dirette online, una newsletter in inglese.
E abbiamo già raggiunto oltre tredicimila euro di donazioni da centinaia di sostenitori! Manca poco per arrivare al primo traguardo, il più importante, quello che garantisce la continuità del progetto per almeno un anno. Per cui se non lo avete ancora fatto e volete sostenere questo progetto, trovate tutte le istruzioni cliccando su questo bottone qua sotto.
(Qui trovate la newsletter in cui parlo del crowdfunding in dettaglio).
CHIP WARS
Guerre dei chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa e gli altri
Mentre siamo distratti dai continui annunci di nuovi AI tools che introducono perlopiù miglioramenti incrementali, le aziende di AI assoldano ex capi di Stato (ma assicurano che non li useranno per fare lobbying sui governi, ci mancherebbe), e la partita dei chip - molto meno glamour delle risposte dei chatbot e dei video di Sora 2 di celebrità morte - diventa un parapiglia, il cui esito dovrebbe determinare gli sviluppi non solo dell’industria AI e tech, ma anche degli equilibri mondiali.
Pechino sta infatti preparando il terreno negoziale in vista dell’atteso incontro tra il presidente Trump e il leader cinese Xi Jinping. I chip sono al centro di questo scontro, anche se non sono l’unico terreno di battaglia. Indubbiamente però il loro ruolo centrale nell’intelligenza artificiale, nelle tecnologie militari e in altri settori economici li ha messi al centro delle tensioni tra le due superpotenze mondiali, già impegnate da mesi in controversi negoziati su dazi e tecnologia.
Il mese scorso, l’autorità antitrust cinese aveva dichiarato che secondo un’indagine preliminare Nvidia avrebbe violato la legge antimonopolio del Paese in relazione all’acquisizione della società israeliana Mellanox Technologies, completata nel 2020. In realtà Nvidia sembra essersi trovata in mezzo al braccio di ferro tra Usa e Cina che ha portato quest’ultima ad accelerare gli sforzi per l’indipendenza tecnologica. L’indagine preliminare cinese infatti nasce poco dopo il dicembre 2024, quando l’amministrazione Biden aveva dato un ulteriore giro di vite sull’export hi-tech verso la Cina - impedendo ai produttori di chip di memoria avanzati (usati nei sistemi di AI) di spedire i propri prodotti in Cina senza l’autorizzazione del Dipartimento del Commercio.
Ma torniamo a giovedì scorso, quando la Cina ha annunciato anche delle nuove restrizioni (qui documento) sulle terre rare (di cui come sapete è grande produttrice), specificando che le licenze relative a determinati tipi di chip saranno concesse caso per caso. Cosa significa nel concreto? Che - scrive il FT - “le aziende straniere dovranno ottenere l’approvazione di Pechino per esportare magneti che contengono anche solo tracce di materiali di terre rare provenienti dalla Cina (...). Le restrizioni creeranno per la prima volta una versione cinese della norma statunitense sui prodotti diretti esteri, una misura che Washington ha utilizzato per bloccare le esportazioni di semiconduttori verso la Cina da paesi terzi”.
La norma sui prodotti diretti sarebbe la foreign direct product rule (FDPR), applicata in concomitanza con le misure americane prese appunto nel dicembre 2024. Allora quelle misure limitavano l’esportazione di 24 tipi di strumenti per la produzione di chip. Ma per renderli più efficaci, gli Stati Uniti applicarono una norma extraterritoriale, la “foreign direct product rule” (FDPR), che colpiva le aziende non statunitensi che utilizzavano chip statunitensi nei loro strumenti. Tutto chiaro?
In pratica la Cina sta riproponendo lo schema americano a parti inverse.
Come la stanno prendendo gli americani? Alcuni analisti di think tank statunitensi non l’hanno presa alla leggera.
“La Cina ha affermato il proprio controllo totale sull’intera catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori, imponendo requisiti di licenza di esportazione su tutte le terre rare utilizzate per la produzione di chip avanzati. Se applicata in modo aggressivo, questa politica potrebbe significare la fine del boom dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti e probabilmente portare a una recessione/crisi economica negli Stati Uniti nel breve termine”, commenta su X Dean W.Ball, senior fellow alla Foundation for American Innovation.
Secondo Ball, come risposta gli Usa non dovrebbero cedere, ma anzi rendere molto più estesi e rigidi i controlli sull’export delle apparecchiature per la produzione di semiconduttori; inoltre dovrebbero accelerare gli sforzi sulla produzione (estrazione e raffinazione) di terre rare fuori dalla Cina.
Che le misure presa dalla Cina siano potenzialmente d’impatto, se davvero applicate, sembra mettere d’accordo diversi esperti.
“Si tratta dei controlli più severi che la Cina abbia mai applicato alle esportazioni”, ha affermato al Japan Times Gracelin Baskaran, direttore del Center for Strategic and International Studies. “È abbastanza chiaro che dispongono degli strumenti e dei mezzi necessari per costringere non solo le aziende statunitensi, ma anche quelle di tutto il mondo a conformarsi”.
“Le macchine per la produzione di chip, come quelle vendute da ASML e Applied Materials, dipendono in modo particolare dalle terre rare perché contengono laser, magneti e altre apparecchiature estremamente precise che utilizzano questi elementi”, continua Japan Times, che ricorda come i maggiori produttori mondiali di chip - tra cui Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) e Samsung Electronics - si affidino proprio ad ASML per la produzione di semiconduttori.
A dire il vero, c’è chi spera che in fondo si tratti solo di fare la voce grossa in vista dei negoziati (anche sui dazi) tra Trump e Xi Jinping. Ma certo non tira una bella aria.
Come fare AI fuori dalla corsa Cina-Usa e l’idea di una public AI
Intanto la macchina industriale dell’AI, spalleggiata dai governi, lavora per espandersi. Ma fuori dalla competizione Usa-Cina e dai relativi colossi tech, cosa si può fare? Un interessante pezzo del Guardian passa in rassegna alcune risposte local (dall’India a Singapore), e cita una proposta, per ora solo un policy brief, della Cambridge University. La proposta invoca un Airbus for AI, cioè una società pubblica di AI basata su una partnership coordinata tra pubblico e privato per fare in modo che lo sviluppo di questa tecnologia serva gli interessi nazionali condivisi e massimizzi il valore pubblico, “anziché concentrare i benefici in una manciata di entità private con sede nelle superpotenze globali”.
“Ispirandoci ad Airbus - ragiona il documento propositivo - proponiamo che Canada, Germania, Giappone, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Francia, Regno Unito e altre potenze medie unifichino i loro attuali sforzi sovrani nel campo dell’AI in una società pubblica di AI, un laboratorio competitivo all’avanguardia per lo sviluppo e la commercializzazione dell’AI nell’interesse pubblico”.
Proposta sulla carta molto interessante. Noto che non è citata l’Italia.
La Commissione Ue lancia due strategie per accelerare la diffusione dell’AI
A livello di istituzioni europee però si muove qualcosa di molto concreto.
Il 9 ottobre la Commissione europea ha annunciato le sue strategie da 1 miliardo di euro per potenziare l’uso dell’intelligenza artificiale in settori chiave, nel quadro di una spinta a ridurre la dipendenza dell’Unione dalle tecnologie statunitensi e cinesi.
A dire il vero, in queste strategie, sembra esserci un po’ di tutto, e tutto appare ancora molto fumoso.
“Nel settore sanitario, ad esempio, l’Ue creerà una rete per lo screening avanzato basato sull’intelligenza artificiale per accelerare le diagnosi negli ospedali ed estendere la copertura dei professionisti alle aree remote, ha affermato Virkkunen. L’intelligenza artificiale dovrebbe anche supportare l’industria robotica nell’adattare la produzione alle esigenze degli utenti. Per quanto riguarda la mobilità, la Commissione spera di creare una coalizione di città disposte a creare ambienti di prova per portare le auto a guida autonoma sulle strade europee”, riassume Science Business.
Ma trovate tutto qua (VIDEO del discorso di Virkkunen; qui comunicato stampa).
AI E BOLLE
La bolla dell’intelligenza artificiale sta per scoppiare
Startup che bruciano soldi e non generano guadagni, investimenti da migliaia di miliardi che non stanno venendo ripagati e manovre finanziarie opache: i conti dell’intelligenza artificiale non tornano.
Questo è un pezzo molto lungo e approfondito del nostro Andrea Daniele Signorelli. Molto consigliato. Lo leggete sul sito Guerredirete.it.
C’è anche un interessante articolo di Bloomberg sul tema con un grafico impressionante che è girato molto online. Colonna sonora per la lettura dei due articoli sopra: Mon Amour di Annalisa (avete presente il “… Ho visto lei che bacia lui Che bacia lei, che bacia me….?)
OPERAZIONI DI INFLUENZA CON L’AI
Video e profili social finti per rovesciare il regime iraniano
Uno studio di Citizen Lab ha individuato un’operazione di influenza sui social media che fa uso di video falsi generati dall’AI. In particolare i ricercatori hanno tracciato una rete coordinata di oltre 50 profili X non autentici. La rete, che chiamano “PRISONBREAK”, avrebbe diffuso contenuti che incitano gli iraniani a ribellarsi alla Repubblica islamica.
“L’attività dei profili sembra essere stata sincronizzata, almeno in parte, con la campagna militare condotta dall’IDF, le forze di difesa israeliane contro obiettivi iraniani nel giugno 2025”, scrivono, aggiungendo di ritenere che dietro alla campagna possa esserci un’agenzia non identificata del governo israeliano, o un contractor che lavori sotto la sua stretta supervisione.
In almeno un caso un video generato da AI è stato ripreso da alcuni media. La vicenda è molto interessante per molteplici ragioni:
- come ho raccontato più volte in passato, le operazioni di influenza le fanno tanti Stati e soggetti, non solo i soliti noti
- l’AI ora ci mette il carico di contenuti video che possono essere molto difficili da verificare, specie se non si hanno elementi di contesto (Alberto Fittarelli, uno degli autori della ricerca, mi conferma che non è affatto banale fare queste verifiche: “anche se - commenta - così come per l’attribuzione, possiamo giungere a livelli di certezza alti nel determinare contenuto audio/video come generato da AI sulla base di indicatori specifici. Per esempio, la presenza di artefatti tipici (movimenti innaturali, parti del corpo distorte dal processo generativo); o, nel caso del video del bombardamento di Evin, la presenza di elementi incongruenti come la scritta in inglese “Camera 07’, il movimento innaturale della porta della prigione, o l’esistenza di una fotografia identica a quanto mostrato dalla presunta telecamera”.
Come si può capire, si deve lavorare di fino a volte.
- in questo contesto, le redazioni, sempre più indebolite, spesso non vogliono o riescono a fare fact-checking
SPYWARE ALL’ITALIANA
La vicenda spyware torna alla ribalta in Italia con alcuni nuovi casi di presunta violazione di dispositivi. Questa volta nel mirino ci sono personalità di spicco dell’economia e della finanza. Da Caltagirone a Cattaneo (Enel) passando per Orcel (Unicredit).
Ne scrivono La Stampa e IRPIMedia.
EVENTI
Molto ricco questo autunno di conferenze di cybersecurity in Italia.
Dal già citato No Hat di Bergamo il prossimo sabato al Cyberactforum di Viterbo il 24 ottobre fino a Hackinbo a Bologna il 15 novembre.