Il recente attacco informatico che ha colpito i brand del gruppo Kering (tra cui Gucci, Balenciaga e Alexander McQueen) riporta al centro una verità scomoda: nel lusso, i dati più appetibili non sono quelli delle carte, ma le tracce comportamentali dei clienti ad alta capacità di spesa (High Net Worth Individual cioè persone con almeno 1 milione di dollari/euro di patrimoni investibili, “HNWI”).
Per i gruppi globali, inoltre, la sfida non è più soltanto “proteggere” ma progettare piattaforme globali compatibili con regole locali sempre più stringenti.
Analizziamo, quindi, cosa è successo, perché la clientela facoltosa è un “premium target”, i rischi concreti e l’importanza di adottare un framework di difesa con azioni a 30/90 giorni.
Nel giugno 2025 un attore non autorizzato ha avuto accesso a dati di clienti di brand del gruppo Kering. Secondo fonti concordanti, i dataset includerebbero nome, contatti, indirizzi fisici e importi totali spesi, mentre Kering ha indicato che i dati finanziari (carte di credito) non risulterebbero compromessi.
Il gruppo criminale ShinyHunters ha rivendicato l’azione, sostenendo di avere dati collegati a milioni di indirizzi email (7,4 milioni); diverse testate hanno segnalato campioni che mostrano storici di spesa molto elevati.
Autorità e clienti sono stati informati secondo le normative locali, con comunicazioni ufficiali tra il 15 e il 16 settembre 2025.
L’attacco si inserisce in un anno già segnato da incidenti su altri marchi del lusso. Emblematico l’episodio Louis Vuitton Hong Kong: il Garante locale ha reso noto il coinvolgimento di circa 419.000 clienti e ha aperto un’istruttoria, evidenziando l’attenzione regolatoria sul segmento luxury in APAC.
Perché rubare il “quanto spendi” vale più del “come paghi”? Perché i dataset del lusso consentono profilazioni ad altissima granularità: preferenze di prodotto, ticket medio, frequenza, geografie, stagionalità d’acquisto, relazioni con boutique e consulenti. Questa conoscenza:
Nella casistica 2025 su retail di fascia alta, molti esperti segnalano infatti l’uso sistematico di informazioni non finanziarie (es. importi complessivi spesi) per colpire individui con elevata propensione alla spesa.
Quando le informazioni di contatto, l’indirizzo di residenza (o seconda casa), lo storico di spesa e di presenza in boutique diventano pubblici, oltre al rischio digitale ma, si aggiunge la combinazione di doxxing (esposizione di indirizzi e recapiti), profilazione delle abitudini (giorni/orari di visita, preferenze di acquisto, prodotti di elevato valore) e social engineering sull’entourage (autisti, assistenti, personale domestico, corrieri).
Tutto ciò può abilitare addirittura minacce fisiche: dallo stalking all’intercettazione di consegne e furti mirati (domicilio o box di spedizione), fino a scenari più gravi come tentativi di estorsione e home invasion in coincidenza con viaggi o eventi annunciati.
Anche un semplice SIM swap o il takeover di account di messaggistica può essere usato per inviare istruzioni credibili a staff e fornitori (“consegna anticipata”, “nuovo indirizzo temporaneo”), trasformando una falla digitale in un rischio operativo sul campo.
Per ridurre l’esposizione servono misure integrate: minimizzazione e segregazione dei dati “sensibili” (indirizzi completi, importi di spesa elevati), regole di autenticazione fuori banda con parole d’ordine per telefonate e consegne, policy anti-geotag per eventi e trasferte, coordinamento con la sicurezza fisica (perimetro residenziale, controllo accessi, itinerari) e procedure di verifica per chiunque gestisca beni o movimenti del cliente.
La tabella seguente sintetizza le principali minacce per clienti del lusso, con modus operandi, indicatori da monitorare e contromisure prioritarie.
Minaccia | Modus operandi | Indicatori (IOA/IOC) | Contromisure |
Spear‑phishing ‘luxury-themed’ | Messaggi che citano modelli/taglie/store reali per spingere pre‑order/pagamenti. | Link di pagamento falsi, domini simili, richieste urgenti. | 2FA, domini ufficiali, training VIP, pagamento solo su canali proprietari. |
SIM swap / social engineering | Presa di mira di assistenti/fornitori per aggirare MFA. | Perdita segnale improvvisa, reset MFA anomali. | PIN anti‑porting, parola d’ordine telefonica, canali VIP. |
Doxing / estorsione | Uso di indirizzi e abitudini per minacce/divulgazione. | Citazioni di residenze/itinerari, richieste di denaro. | Minimizzazione indirizzi, coordinamento sicurezza fisica/legale. |
Frodi loyalty/gift | Takeover account, gift/status/priority access. | Redemption anomale, login da geografie insolite. | MFA su loyalty, regole antifrode, monitoraggio sessioni. |
I grandi gruppi operano con stack globali (CRM/marketing cloud, clienteling app, e-commerce, data lake, data warehouse, CDP) e catene lunghe di fornitori. La conformità è architettura (non appendice) del contratto: dove si trovano i dati, come fluiscono, quando e come attraversano i confini, quali basi giuridiche e quali regimi locali si attivano.
Il 9 settembre 2025 la filiale Dior Shanghai è stata sanzionata in Cina per trasferimenti di dati di clienti cinesi verso l’estero senza aver messo in atto i meccanismi previsti (valutazione di sicurezza, contratto standard, certificazione), connessi anche ad una fuga di dati segnalata nei mesi precedenti.
Si tratta di un precedente operativo per tutti i gruppi del lusso che usano stack centralizzati con routing cross-border.
Ma “Build once” non può significare “deploy uguale ovunque”: occorrono infatti topologie dati per regione (UE, Cina, GCC, USA), meccanismi di lawful transfer calibrati (SCC, valutazioni PIPL, certificazioni), controlli di egress e routing selettivo per minimizzare i flussi oltreconfine.
Il caso Kering è un segnale forte su tre fronti:
Nell’Unione Europea restano cardini i principi GDPR: base giuridica, minimizzazione, misure di sicurezza adeguate (art. 32), DPIA per trattamenti ad alto rischio, notifica delle violazioni entro 72 ore, responsabilizzazione dei fornitori (art. 28). Per dataset con componenti HNWI/VIP, occorre prevedere misure robuste e differenziate (es. cifratura, segregazione logica, accesso “just-enough”).
In Cina (PIPL e Cyberspace Administration of China “CAC”), il caso Dior mostra un enforcement puntuale sui trasferimenti transfrontalieri e sulle verifiche preventive (security assessment/standard contract/certificazione); inoltre le piattaforme globali senza residenza locale e controlli di egress diventano punti di rischio regolatorio.
A Hong Kong (PDPO), l’indagine dell’autorità locale su LV rimarca tempestività di notifica e remediation; gli operatori luxury in APAC devono prevedere playbook locali di risposta e comunicazione agli interessati.
La protezione dei dati che contano davvero per il lusso (indirizzi, importi spesi, abitudini di acquisto dei clienti HNWI) parte da una scelta architetturale precisa: separare e ridurre.
I dataset VIP vanno trattati come ambienti a sé: si tokenizzano indirizzi e importi, si mascherano automaticamente i valori oltre soglia nelle dashboard operative e si consente l’accesso solo quando serve e solo a chi serve, con logiche just-in-time e just-enough su CRM e strumenti di clienteling.
Questa impostazione vive bene dentro un modello zero-trust retail: i dispositivi di boutique e pop-up vengono “induriti” (sessioni corte, gestione centralizzata, patching costante), i service token ruotano forzatamente e le integrazioni con POS, OMS e flussi di export sono inventariate e limitate al principio del minimo privilegio.
In parallelo, la filiera deve essere governata come un’estensione del perimetro: agenzie marketing, contact center, sviluppatori di app e piattaforme di newsletter/CDP devono operare sotto clausole conformi (art. 28 GDPR/PIPL), subire pen-test periodici, essere soggetti a audit e a piani di remediation con tempi certi.
Il disegno dati deve poi essere multi-region fin dall’origine. Questo significa prevedere residenza e routing per aree (UE, Cina, GCC, USA), applicare controlli di egress e traffic labeling sui dati personali e consentire i soli flussi transfrontalieri davvero necessari, coperti da meccanismi di lawful transfer (SCC, valutazioni PIPL, certificazioni).
Infine, la comunicazione cliente-centrica: in caso di incidente servono canali prioritari per i clienti, messaggi chiari sui phishing tematici e istruzioni pratiche per rafforzare la 2FA e attivare rapidamente il blocco anti-SIM swap presso l’operatore. In questo modo, la sicurezza tecnica e l’esperienza “white glove” si sostengono a vicenda, proteggendo sia il cliente che il brand.
Entro 30 giorni
Entro 90 giorni
Quando si comunica un incidente a clienti di fascia alta, l’obiettivo è doppio: protezione immediata (dare istruzioni utili) e presidio della fiducia (tono e contenuto coerenti con il posizionamento del marchio): il modo in cui si parla conta quanto ciò che si dice.
Occorre chiarire che cosa è successo e quali dati possono esporre i clienti a truffe realistiche (es. spear-phishing con finti pre-order), evitando l’utilizzo di gergo tecnico e formule vaghe: “abbiamo rilevato accessi non autorizzati a un database che contiene [tipi di dato]. Le informazioni di pagamento non risultano coinvolte” può essere un messaggio comprensibile e rassicurante.
È inoltre necessario proporre azioni concrete, offrendo pochi passi immediati, semplici e verificabili: attivare o rafforzare 2FA, impostare una parola d’ordine per richieste via telefono/WhatsApp, contattare solo i canali ufficiali prima di pagamenti o pre-order, chiedere all’operatore il blocco anti-SIM swap.
Allegare una mini-guida di una pagina e tempi medi di attivazione, potrebbe essere molto apprezzato e aggiungerebbe sicuramente un ulteriore elemento di attenzione verso il cliente.
Per HNWI/VIP è cruciale un canale prioritario (es. indirizzo email e numero telefonico dedicati) con tempi di risposta certi, usando uno stile comunicativo calmo, proattivo e personale: “conosciamo le sue abitudini di acquisto; ecco come possiamo proteggerle ora” ed evitando automatismi freddi o rimandi generici al sito.
Altrettanto importante è anticipare ai clienti la possibilità di rischi secondari, spiegando loro (prima che ciò accada) che potrebbero ricevere inviti a eventi esclusivi o richieste di pagamenti via link e indicando come riconoscere un contatto autentico (domini, formati di ricevuta, modalità di incasso) e cosa fare in caso di dubbio (es. inoltro al canale antifrode), con esempi reali di messaggi fraudolenti “brand-themed”.
Oltre all’assistenza, per ri-consolidare la fiducia, è senz’altro utile prospettare la previsione di servizi “a valore” (es. sorveglianza su account e-commerce/loyalty, avvisi personalizzati, controllo delle modifiche ai contatti), comunicando quando arriverà l’aggiornamento successivo e che cosa conterrà (nuovi riscontri, eventuali ulteriori misure).
Il messaggio da inviare ai clienti, pur unico nei suoi contenuti chiave, deve essere localizzato per lingua, canali preferiti e requisiti normativi (UE, Cina ecc.), mantenendo coerenza tra email, SMS e messaggistica: contraddizioni o tempistiche diverse eroderebbero la fiducia.
Da evitare invece: minimizzare l’accaduto, scaricare la responsabilità terzi (es. fornitori), promettere tempi o esiti non certi, usare call-to-action generiche (“state attenti”). Anche i copy eccessivamente promozionali sono fuori luogo, soprattutto nelle prime comunicazioni post-breach.
Il seguente cruscotto tecnico collega sicurezza operativa e tutela del brand nel segmento lusso, fissando soglie misurabili, ownership e cadenze di reporting per guidare decisioni del vertice.
Indicatore (KPI) | Cosa misura | Obiettivo | Perchè conta | Dove leggo il dato |
Time‑to‑contain (VIP) | Tempo per contenere incidenti su cluster HNWI. | < 24h | Riduce i danni e la replica degli attacchi | Strumenti di risposta agli incidenti / SOC |
Time‑to‑notify (VIP) | Tempo per informare autorità/interessati quando richiesto. | ≤ 72h (regola GDPR) | Conformità e fiducia | Legal, DPO, Comunicazione |
Residenza dei dati (data residency) | % dati VIP ospitati in regioni conformi (UE/Cina/GCC/USA). | 100% del core | Riduce rischio normativo e sanzioni | Metriche della piattaforma dati |
Affidabilità dei fornitori critici | % partner di primo livello con test/attestazioni di sicurezza negli ultimi 12 mesi | ≥ 95% | La filiera è parte del perimetro | Registro rischio fornitori |
Riduzione export dati sensibili | Riduzione export indirizzi/import verso partner non necessari. | −90% | Limita l’esposizione e le superfici di attacco | DLP / registri di uscita (egress) |
Efficacia dei test di attacco “a tema brand” | Tasso di successo di esercitazioni di phishing mirate al lusso. | < 2% di click | Misura la vulnerabilità reale | Report della simulazione attacco |
Perdita attesa in caso di incidente | Stima economica che include costi diretti e impatto su reputazione. | Trend in calo | Collega sicurezza a P&L | Finance + Risk Management |
Il caso Kering mostra che il perimetro da proteggere è un intero ecosistema fatto di boutique fisiche, app, CRM, piattaforme marketing e una filiera estesa di fornitori in più giurisdizioni.
Gli aggressori non cercano solo numeri di carta: puntano ai dati che raccontano le persone (storico di spesa, preferenze, geografie, relazioni) perché permettono truffe mirate verso clienti facoltosi e, nei casi peggiori, possono sfociare in rischi anche fisici, soprattutto quando emergono indirizzi e abitudini.
La risposta deve essere innanzitutto architetturale: separare i dataset a maggior impatto, tokenizzare e mascherare i campi sensibili, limitare gli accessi al minimo necessario e abilitare controlli “zero-trust” nei punti vendita.
Allo stesso tempo, gli stack globali vanno ripensati in chiave “glocale”: topologie dei dati per regione (UE, Cina, GCC, USA), controllo degli egress e instradamento selettivo, trasferimenti transfrontalieri solo quando davvero indispensabili e coperti da meccanismi conformi (SCC, valutazioni PIPL, certificazioni).
L’enforcement visto in Cina lo conferma: la conformità non può più essere intesa come postilla legale, ma deve essere una scelta di progetto che impatta architetture, flussi, contratti. La filiera (agenzie marketing, contact center, sviluppatori di app, piattaforme di customer data) è parte del perimetro: servono pen-test periodici, audit e piani di remediation con tempistiche certe.
Operativamente, la rotta è chiara: un piano a 30/90 giorni che mappi dove vivono e come circolano i dati più sensibili, riduca gli accessi ampi con MFA ovunque, blocchi gli export superflui nelle regioni a maggior rischio, attivi un playbook dedicato per i clienti più esposti e avvii il refactoring dei dataset critici.
Il tutto misurato da un cruscotto essenziale: tempo di contenimento e di notifica per i cluster più sensibili, copertura di data residency, livello di assurance dei fornitori, riduzione degli export rischiosi, esito dei red team e perdita attesa in caso di incidente.
Infine, la comunicazione è fondamentale: canali prioritari, istruzioni pratiche e messaggi coerenti su tutti i touchpoint trasformano la sicurezza tecnica in fiducia percepita.
In breve: chi saprà integrare design della sicurezza, applicazione locale delle regole e qualità della relazione con i clienti ridurrà l’esposizione e rafforzerà il brand; chi tarderà continuerà a esporre persone e business/reputation a rischi elevati, sia digitali che reali.