Nel panorama cyber del 2025, le minacce non sono più rinchiuse a confini nazionali.
L’esportazione di tecnologie di sorveglianza cinesi, come quelle legate al Great Firewall, sta creando un ecosistema globale di repressione digitale che si interseca con le vulnerabilità delle PMI europee e italiane.
Le tech cinesi di sorveglianza, spesso integrate in hardware e software low-cost, rappresentano infatti un vettore per cyber rischi sistemici, minacciando la sovranità digitale europea e la resilienza delle imprese.
Rapporti come quello del Clusit 2025 e le analisi Enisa sottolineano come la dipendenza da componenti cinesi amplifichi minacce come ransomware e supply chain attacks, specialmente per PMI con risorse limitate.
Dall’analisi dell’esportazione cinese e dei pericoli specifici per le Pmi, emergono correlazioni. Mentre la Cina vende strumenti per monitorare comunicazioni e bloccare dissenso a regimi autoritari, queste tecnologie infiltrano supply chain globali, esponendo le Pmi a rischi di backdoor, furti di dati e attacchi mirati.
Ecco il ruolo delle direttive UE (NIS2, DORA, AI Act) nel mitigare questi rischi.
In un mondo sempre più connesso, la linea tra sicurezza nazionale e repressione digitale si assottiglia pericolosamente.
Fang Binxing, noto come l’architetto del Great Firewall cinese – quel vasto sistema di censura che blocca l’accesso a siti come Google, Facebook e Wikipedia per centinaia di milioni di utenti in Cina – è al centro di una nuova controversia.
Una recente fuga di documenti, emersa solo pochi giorni fa, rivela che Binxing non si è limitato a fortificare i confini digitali della Cina: attraverso aziende collegate, sta esportando strumenti di sorveglianza invasivi a regimi autoritari in tutto il mondo.
Questi tool permettono di tracciare manifestanti, intercettare comunicazioni e soffocare il dissenso, con ramificazioni che arrivano fino alle porte dell’Europa.
La mente di questa storia è Geedge Networks, un’azienda cinese con stretti legami a Fang Binxing, che ha trasformato il modello del Great Firewall in un prodotto di esportazione.
Secondo documenti trapelati, Geedge offre sistemi avanzati per filtrare il traffico internet, bloccare VPN e monitorare utenti in tempo reale.
I clienti includono governi in Pakistan, Etiopia, Myanmar e Kazakistan, dove queste tecnologie sono state usate per reprimere proteste e controllare l’informazione. In Etiopia, per esempio, durante i recenti conflitti etnici, simili tool hanno aiutato a oscurare notizie critiche e a identificare dissidenti online.
Ma la storia non si ferma qui.
Una seconda leak, riportata da fonti investigative, evidenzia come la Cina stia importando e poi rivendendo tecnologie di sorveglianza da fornitori esteri, creando un ciclo globale di repressione.
Critici come quelli del China Digital Times sottolineano come questo commercio stia accelerando la diffusione del tecno-autoritarismo cinese, con AI e biometria che rafforzano il controllo statale in nazioni fragili.
Non è solo la Cina a spingere questi strumenti. Aziende europee sono silenziose complici in questa catena. Un rapporto aggiornato di Amnesty International, pubblicato recentemente, accusa società tedesche, olandesi e francesi di alimentare il sistema di sorveglianza di massa in Pakistan.
La tedesca Utimaco, per esempio, ha fornito tecnologia per il Lawful Intercept Management System (LIMS) attraverso un intermediario emiratino, permettendo intercettazioni su larga scala che violano i diritti umani.
Ma questo non è un caso isolato: indagini precedenti hanno esposto come Morpho (ora Idemia, Francia), Axis (Svezia) e Noldus (Paesi Bassi) abbiano venduto sistemi di riconoscimento facciale alla Cina, inclusa la regione dello Xinjiang, dove sono stati usati per monitorare la minoranza uigura.
Critiche recenti si concentrano sulle lacune regolatorie dell’UE. Un’analisi del 2025 dal National Endowment for Democracy (NED) avverte che tecnologie data-centriche cinesi, come l’AI per la sorveglianza, stanno globalizzando la repressione, con l’Europa che fornisce componenti chiave senza adeguati controlli.
Un articolo su Perspectives on Politics del gennaio 2025 evidenzia come Pechino stia rivoluzionando la sorveglianza digitale, esportando tool che erodono le democrazie, spesso con hardware europeo.
E un report Carnegie di febbraio 2025 nota che la Cina esporta questi strumenti solo dove vede vantaggi strategici, ma l’assenza di trasparenza europea amplifica i rischi.
Questi sviluppi non sono astratti, ma rappresentano minacce concrete. Stati autoritari stanno adottando modelli cinesi di “Grande muraglia digitale”, usando IA e biometria per controllare popolazioni intere.
In Myanmar, tool simili hanno facilitato blackout internet durante il colpo di stato del 2021, e ora si evolvono con AI per prevedere il dissenso. Critici dal Project Syndicate (luglio 2024) avvertono che l’export cinese di facial recognition sta accelerando l’autocratizzazione globale, con un bias verso regimi non democratici.
Inoltre, attacchi informatici sfruttano queste vulnerabilità: gruppi statali o criminali usano tali tech per colpire infrastrutture critiche, come visto in recenti incidenti in Kazakistan.
Un studio del Bulletin of the Atomic Scientists (giugno 2024) sottolinea come la Cina, principale fornitore di AI-surveillance, stia minacciando la democrazia ovunque.
Nel contesto europeo, questa esportazione si lega direttamente a rischi supply chain: PMI che integrano componenti cinesi low-cost rischiano backdoor per sorveglianza statale, come evidenziato da report su dipendenza tecnologica Ue-Cina.
L’Ue non è rimasta a guardare. Nell’ottobre 2024, nuove linee guida sull’export
impongono due diligence per tecnologie di sorveglianza, richiedendo autorizzazioni in presenza di un rischio di abusi.
Il Cyber Resilience Act, in vigore da dicembre 2024, obbliga i produttori a integrare sicurezza by design e notificare incidenti. A febbraio 2025, il Cyber Solidarity Act ha rafforzato la cooperazione contro minacce cyber.
Il Consiglio Ue ha esteso sanzioni contro attori di cyberattacchi nel 2025. Tuttavia, esperti criticano queste misure come insufficienti.
Un report Strauss Center (luglio 2025) accusa l’Ue di non coprire tutte le forme di sorveglianza, come il riconoscimento facciale esportato senza controlli.
Ong come Amnesty e Privacy International spingono per maggiore trasparenza e azioni legali contro aziende complici.
Per contrastare questa marea, servono strategie più aggressive: regole uniformi sull’export, valutazioni d’impatto sui diritti umani per le imprese, e investimenti in tecnologie privacy-enhancing.
Coalizioni internazionali, come con Usa e Giappone, potrebbero rafforzare accordi come il Wassenaar Arrangement.
La società civile gioca un ruolo chiave, con indagini che espongono abusi e pressano per cambiamenti.
In sintesi, mentre la Cina esporta il suo modello repressivo, l’Europa deve scegliere: continuare a fornire mattoni per muri digitali altrui, o erigere barriere contro l’autoritarismo? La posta in gioco è la libertà online globale.
Le piccole e medie imprese in Italia e in Europa affrontano un panorama di minacce cyber in costante evoluzione, aggravato dalla digitalizzazione accelerata e dalla scarsità di risorse.
Sulla base di report come il Clusit 2025 e studi di Mastercard, ecco un elenco dei principali pericoli reali identificati per il 2025.
Sono rischi non solo teorici: colpiscono quotidianamente, con impatti economici che possono portare alla chiusura di attività.
In Italia, solo il 15% delle PMI è adeguatamente preparata, mentre in Europa una su quattro ha subito attacchi che mettono a rischio la sopravvivenza.
Ecco un elenco dei principali rischi:
Queste direttive (NIS2 in vigore dal 2024, DORA dal gennaio 2025, AI Act dal 2024 con fasi progressive) mirano a mitigare i rischi, ma impongono oneri alle PMI, come costi di compliance stimati in miliardi di euro cumulativi.
NIS2 si applica a settori essenziali, DORA al finanziario, AI Act all’IA. In Italia, l’implementazione include adattamenti nazionali, con sanzioni per non-compliance.
Di seguito, una tabella di confronto che lega i pericoli alle direttive, evidenziando
mitigazioni, impatti e sfide per le PMI.
Mentre queste direttive rafforzano la protezione contro i pericoli, le PMI affrontano sfide come costi elevati e complessità compliance, specialmente in Italia dove l’adattamento nazionale è in corso.
Si consiglia di accedere a supporti UE come Sandboxes per mitigare impatti.
La correlazione tra l’esportazione del Great Firewall e i pericoli per le PMI europee è evidente nei rischi supply chain e IA.
Tech cinesi, spesso integrate in dispositivi low-cost usati da PMI, possono contenere backdoor per sorveglianza statale, come noto dalla penetrazione cinese in ecosistemi tech occidentali.
Nel 2025, report come “2025 Supply Chain Cybersecurity Trends” avvertono che dipendenza da fornitori cinesi amplifica attacchi sistemici, con PMI italiane esposte a cyber-crisi nazionali.
Piattaforme cinesi entrano nel mercato UE senza adeguati privacy shield, esponendo i dati delle PMI a rischi di totalitarismo digitale. Direttive UE come AI Act classificano queste tech come high-risk, ma lacune in NIS2 lasciano PMI vulnerabili a export repressivi.
In Italia, la dipendenza economica dalla Cina (per esempio, nella meccanica) aumenta questi pericoli, richiedendo maggiore sovranità digitale.
In definitiva, questo report evidenzia come l’esportazione cinese di sorveglianza non sia isolata, ma interconnessa ai rischi cyber per PMI europee.
Per contrastarla, l’UE deve rafforzare controlli export e supporti per PMI, promuovendo alternative sicure.
Senza azioni decise, il tecno-autoritarismo cinese potrebbe erodere la competitività e la privacy delle imprese europee.
Si raccomanda monitoraggio continuo e investimenti in resilienza.