Un viaggio in metro che si trasforma in un po’ di soldi sottratti dal nostro bancomat o carta di credito da un ladro dotato di pos pirata.
La minaccia è di nuovo emersa nella cronaca, con casi di migliaia di euro rubati a Sorrento e Roma.
Certo, la possibilità di pagare semplicemente avvicinando una carta o un dispositivo al terminale ha reso i pagamenti più fluidi e veloci. Tuttavia, proprio questa comodità può diventare una superficie d’attacco.
Tra le minacce emergenti, i cosiddetti POS pirata rappresentano un fenomeno ancora poco compreso, ma che merita attenzione, soprattutto in ambito urbano.
Il cosiddetto pickpocketing 2.0 ha infatti trasformato il borseggio da un’azione fisica a una digitale. Non servono più mani abili a frugare tra tasche e zaini, ma solo un terminale POS portatile, un importo precaricato e un contatto ravvicinato. In scenari affollati come metropolitane, mercati o stazioni, questi strumenti possono essere usati per sottrarre denaro in maniera silenziosa.
L’operatore del POS, solitamente un malintenzionato, avvicina il dispositivo alle tasche delle vittime inconsapevoli e in meno di due secondi una micro-transazione viene effettuata senza che il titolare della carta se ne accorga.
Parliamo di pagamenti perfettamente legittimi, di solito inferiori a 50 euro, che non richiedono PIN né autorizzazioni biometriche.
Il funzionamento tecnico è semplice quanto sofisticato. Il truffatore imposta un importo minimo sul terminale, attiva la lettura NFC e cerca un contatto ravvicinato con la carta della vittima.
La comunicazione avviene su una distanza molto breve, tipicamente inferiore ai due centimetri, ma nei contesti affollati è facile raggiungere tale prossimità. Se la carta è abilitata e non protetta da schermature, il pagamento parte e il denaro viene accreditato su un conto collegato al terminale, spesso intestato a terzi o prestanome.
Questo meccanismo si è dimostrato efficace proprio grazie alla sua discrezione: la vittima, nella maggior parte dei casi, non riceve notifiche immediate e nota l’addebito solo dopo giorni, se non settimane.
Nonostante l’apparente semplicità, l’attacco non è privo di ostacoli. I POS richiedono una sequenza d’attivazione manuale e hanno una finestra temporale di operatività piuttosto ristretta. Inoltre, la presenza di più carte NFC nella stessa area può interferire con il segnale, rendendo nullo il pagamento.
Portafogli in pelle spessa o borse con comparti interni schermati rappresentano un ulteriore fattore di incertezza per il buon esito della transazione. Va anche sottolineato che tutte le operazioni vengono registrate e ogni POS è associato a un conto tracciabile, aspetto che espone i criminali a un rischio concreto di identificazione, soprattutto se il denaro viene incassato in modalità tracciata.
Il vero punto critico non risiede tanto nella sofisticazione tecnica quanto nell’effetto cumulativo delle micro-transazioni. Prelevare dieci euro da una carta potrebbe passare inosservato. Ma farlo ripetutamente, anche su carte diverse, consente di ottenere somme considerevoli, senza mai destare immediatamente sospetti. In alcuni casi documentati, come quello avvenuto a Sorrento e Roma, le micro-truffe si sono trasformate in furti da migliaia di euro, costruiti su una serie di piccoli addebiti distribuiti nel tempo.
Dal punto di vista della sicurezza bancaria, questa tipologia di attacco evidenzia la necessità di un duplice intervento. Da un lato occorre continuare a sviluppare meccanismi di detection più intelligenti, capaci di rilevare pattern anomali anche tra importi apparentemente innocui. Dall’altro, è fondamentale investire nella consapevolezza dell’utente.
Troppi consumatori ignorano la possibilità di:
Anche i pagamenti via smartphone, seppur più sicuri grazie all’uso di token e autenticazioni, possono essere vulnerabili se non configurati correttamente.
Il contactless non va demonizzato, ma compreso. È una tecnologia che, se ben gestita, offre livelli di efficienza elevati. Tuttavia, la sua diffusione ha superato la velocità con cui è stata assimilata culturalmente. L’assenza di frizione nell’atto del pagamento ha portato a una scarsa percezione del rischio. Serve quindi una cultura della sicurezza quotidiana, che cominci da piccoli accorgimenti individuali e si estenda a buone pratiche di sistema.
In definitiva, il POS pirata non rappresenta un’emergenza diffusa, ma un indicatore chiaro della creatività criminale nell’adattarsi alle tecnologie in uso. Le condizioni necessarie per portare a termine una truffa di questo tipo sono numerose e complesse, ma l’esistenza stessa del fenomeno giustifica l’attenzione del settore. Chi lavora in ambito cybersecurity sa bene che prevenire non significa solo blindare i sistemi, ma anche costruire un ambiente in cui l’utente finale diventi parte attiva della difesa.