Il Garante per la protezione dei dati personali ha inviato un formale richiamo a Confcommercio, sollecitando un intervento deciso sul dilagare di sistemi di videosorveglianza irregolari all’interno degli esercizi commerciali.
L’Autorità, con il comunicato diffuso con la newsletter n. 537 del primo agosto 2025, ha ribadito come telecamere installate senza cartelli, con microfoni attivi, puntate verso le strade pubbliche o proprietà altrui o addirittura utilizzate per monitorare i dipendenti, rappresentino una violazione non solo della normativa privacy ma anche delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori.
Le recenti attività ispettive di Polizia locale, Guardia di Finanza e Forze dell’ordine hanno infatti prodotto decine di sanzioni, in alcuni casi per migliaia di euro, nei confronti di esercenti che non avevano rispettato gli obblighi di legge.
Il Garante ha richiamato le Linee guida 3/2019 del Comitato europeo per la protezione dei dati e la pagina tematica dedicata sul sito istituzionale, ribadendo che la sicurezza di clienti e lavoratori deve conciliarsi con la protezione dei diritti fondamentali e che la corretta gestione degli impianti è condizione imprescindibile per evitare nuove sanzioni.
Ma c’è un ulteriore livello di complessità. Infatti, dal 21 gennaio 2025, con un decreto del Ministero dell’interno, sono state adottate nuove linee guida per la prevenzione di atti illegali e di pericolo nei locali aperti al pubblico.
Queste indicazioni aprono la strada a protocolli locali tra prefetti e associazioni di categoria che spingono gli esercenti ad aderire a impegni specifici in materia di sicurezza, tra cui il potenziamento degli impianti di videosorveglianza.
La logica è chiara. Più sicurezza attraverso una maggiore collaborazione pubblico-privato. Ma gli effetti collaterali rischiano di essere tutt’altro che marginali.
In pratica, chi sottoscriverà questi protocolli dovrà considerare di fatto vincolante l’adozione di sistemi di ripresa, con l’obbligo di riprendere accessi e uscite di sicurezza, ammettere la possibile gestione da parte di istituti di vigilanza privata e, in prospettiva, collegare gli impianti alle piattaforme comunali di videosorveglianza urbana.
Ed è qui che si accendono le criticità giuridiche. Gli impianti installati nei luoghi di lavoro restano infatti soggetti all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
È necessaria una procedura di garanzia che passa da un accordo sindacale o dall’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, pena la nullità e la responsabilità penale.
Lo stesso Ispettorato ha già chiarito che nessuna norma di settore può derogare a queste tutele, confermando che le regole sul controllo a distanza dei dipendenti si applicano anche se l’obbligo di installazione delle telecamere deriva da disposizioni normative o protocolli ministeriali.
In parallelo, restano saldi gli obblighi privacy. Cartelli informativi chiari e ben visibili, informative di secondo livello disponibili agli interessati, regolare inquadramento dei rapporti con i fornitori esterni e manutentori, istruzioni precise per eventuali addetti alla vigilanza privata evitando di allargare il cono di ripresa oltre alle zone di stretta pertinenza.
Anche se le telecamere dei privati che puntano sulle strade sono sempre molto utili alle forze dell’ordine in caso di reati, il rischio per l’esercente è di passare dalla parte del torto. E trovarsi una bella sanzione privacy per un semplice reclamo di un cliente insoddisfatto, per esempio.